La parola all’ittiologo

La sciagura dei cormorani imperversa sulle specie ittiche ormai da tempo.
Non è più un inconveniente laterale, bensì un problema persistente, reale e consistente. Abbiamo domandato all’ittiologo di UPS, il dott. Pierpaolo Gibertoni, che condizioni si ritrova ad affrontare la fauna ittica. 

I tempi cambiano, il clima cambia, non ci sono più le mezze stagioni, potremmo andare avanti a citare luoghi comuni, aforismi e cadere direttamente nel retorico.
E’ palese che molti elementi naturali, la cui somma porta alla definizione di clima, siano cambiati e, nonostante si ritenessero consolidati, siano oramai alterati: estati più calde e lunghe, inverni più miti e generalmente una temperatura media più alta, han fatto si che le popolazioni di cormorani trovassero condizioni ottimali per la riproduzione nel nostro territorio.

Un Cormorano intento a fagocitare un luccio in foce Adda, fotografato dall'associato Filippo Ferraioli

 

In particolar modo nel corso degli ultimi 30 anni, per quanto riguarda le regioni del sud Europa, molti uccelli migratori si sono ritrovati a non dover più migrare e soprattutto han trovato condizioni per poter svernare direttamente in loco, mantenendo una presenza costante per tutti i 12 mesi. Le regioni mediterranee si sono ritrovate inevitabilmente con un sistema cambiato, diverso, e soprattutto con nuove specie che hanno trovato nuova dimora. Nonostante tutto questo, la Direttiva Uccelli non sembra invece compensare i cambiamenti naturali in atto. 

Ai cambiamenti climatici dobbiamo aggiungere anche l’elemento “mano dell’uomo”: lavori (seppur importanti e necessari) che nel tempo han portato alla banalizzazione dei corsi d’acqua, unito all’utilizzo delle acque in modo variabile per fini vari (tra questi l’idroelettrico, l’irrigazione, l’dropotabile) e l’artificializzazione e la denaturalizzazione degli stessi; quel che ne consegue sono una minore naturalità e una minore complessità dei fiumi. 

Per complessità si intende la varietà di ostacoli, rami, buche, tronchi e barriere naturali che fino a qualche anno fa componevano in maniera naturale e alternata il corso di un fiume (ad esempio il classico fiume di fondo valle).
Una complessità che per motivi di sicurezza e/o  necessità è stata ridotta in maniera importante, portando a correnti uniformi, fiumi più liberi da ostacoli, e varietà di fondo quasi azzerata. Ciò che ne consegue è la riduzione drastica di potenziali tane e luoghi di rifugio per i pesci, facendo automaticamente si che gli uccelli ittiofagi possano più liberamente predare, cibarsi e trovare condizioni ottimali per agevolare le generazioni future.

 

Presidiare in maniera organizzata, UPS sul campo

Le condizioni agevolate, create dal mix di elementi climatici sopra descritti, hanno permesso a cormorani e simili di potersi riprodurre a dismisura, in maniera incontrollata. 

Un semplice riscontro si può avere osservando le statistiche. I Dati Comunitari riportano che tra la fine degli anni 70 e l’inizio degli anni 80, si parlava di circa 50.000 animali svernati (quindi residenti) in Italia. Le ultime statistiche riportano invece un censimento di circa 500.000 individui, mezzo milione, per farla breve un +1000% di animali ormai stabili nella nostra penisola. 

“La residenzializzazione, cioè quando una specie anziché migrare per andarsi a riprodurre rimane in un sito, diventa un pezzo del mosaico di quel territorio. Se un tempo il problema dei cormorani svernanti e quelli stanziali era tipico degli estuari dei grandi fiumi dove c’erano i cormorani marini, oggi abbiamo i cormorani che invece sono presenti 12 mesi l’anno anche nelle aree interne e che anche nei mesi estivi rimangono lungo i torrenti e nei laghi fino a 1200 metri di quota generando problemi di non poco conto” riporta il dott. Gibertoni.

Questi sono problemi seri, dal momento che la fauna ittica presente nei nostri corsi d’acqua, con un cambiamento rapido e veloce, non è stata in grado di adattarsi gradatamente alle nuove dinamiche di vita. 

In natura tutto si adatta, col tempo, alle nuove necessità. La natura è forte, lavora di continuo, ma con i propri tempi. Qui invece il cambiamento è stato talmente rapido che e i metodi di difesa, gli espedienti che potrebbero far reagire le specie ittiche soggette a predazione, non sono state metabolizzate ed elaborate in maniera solida oltre che naturale. 


Oltre a trovarsi impreparati, i nostri pesci, si son trovati anche con corsi d’acqua denaturalizzati, favorendone la predazione da parte di uccelli ittiofagi.

Una delle soluzioni, ma non l'unica

A questo punto cosa può fare l’uomo per risolvere il problema?

Sicuramente l’uomo può mettere mano per mitigare la situazione riqualificando i corsi d’acqua alterati, gestendo le risorse idriche in maniera diversa e ottimale e con il presidio. E riguardo il presidio, il dott.Gibertoni puntualizza: “sul presidio bisogna fare dei distingui e delle riflessioni. Di certo i piani di controllo e i piani di abbattimento sono uno strumento molto efficace, laddove viene eseguito con puntualità, accortezza e grande meticolosità. Dove invece non c’è pianificazione e costanza, il risultato è pressoché nullo. Serve una presenza fissa di squadre, efficienti nell’azione, sia di disturbo che di abbattimento”. 

Ma alla voce presidio, non bisogna solo pensare alle guardie presenti in fiume: anche il pescatore è elemento di presidio e disturbo. Basti pensare alle zone frequentate da pescatori, dove le specie ittiofaghe che si sentono disturbate semplicemente volano altrove abbandonando i luoghi che a loro risultano disturbati – lasciandoli finalmente in pace. Questa reazione da parte dei predatori volanti, può tornare utile.

Se in primavera-estate-autunno i pescatori sono presenti sul fiume, recando indirettamente disturbo a cormorani e simili, nella seconda parte dell’autunno e per tutto l’inverno le condizioni cambiano. 

Piani di abbattimento

E a proposito di questo sempre Gibertoni spiega: “il comportamento dei predatori deve far riflettere, e attuare delle reazioni di conseguenza. Innovazioni importanti, come la pesca no kill, anche a piede asciutto, dove la semplice presenza dell’essere umano sui corsi d’acqua può destabilizzare l’abitudine dei predatori. Presenza magari in zone di particolare interesse, dove c’è ad esempio riproduzione accertata nei mesi invernali. La non chiusura della pesca potrebbe mantenere la presenza di pescatori sul fiume, attenuando la presenza dell’avifauna ittiofaga. Questa innovazione potrebbe avere dei grandi riscontri: da una parte il pescatore potrebbe presenziare in pesca nei mesi invernali  con acqua limpida, e con le tecniche sostenibili (quindi con esche artificiali, ami singoli, senza ardiglione, anche nei periodi della riproduzione non si andrebbero a generare particolari problemi alla Marmorata piuttosto che alla Fario). Quando i pesci sono in periodo riproduttivo, diventano solo un po’ più territoriali, ma non impedisce loro le procedure e le pratiche nuziali e riproduttive”. 

Sempre in merito a realtà e pratiche già esistenti nel mondo, il dott.Gibertoni riporta: ”basti pensare quando negli Stati Uniti, in Alaska o in Canada, si va a pescare sulla risalita dei salmoni, delle steelhead o di altre specie. Lo si fa esattamente in periodo riproduttivo, quando questi poi si riproducono. Io stesso tante volte ho pescato le cut throat in periodo tardo-primaverile, quando sono in frega, ma trattate e rilasciate come si deve, il disturbo recato è minimo se non nullo.
Il vantaggio potrebbe essere molto grande, se immaginassimo nei fiumi di fondo valle una tipologia di pesca, magari con guida e barchino, a discendere in drifting, il metodo permetterebbe di coprire chilometri di fiume, disturbare le zone di caccia del cormorano, e consentire un’azione di pesca invernale con tecniche sostenibili che limiterebbero i danni e la presenza dei cormorani nelle nostre acque”.

Il dott.Pierpaolo Gibertoni